Billè: "fermiamo la marcia indietro del Paese"

Billè: "fermiamo la marcia indietro del Paese"

Nella relazione all'Assemblea Geeerale, il presidente di Confcommercio ha esortato istituzioni, partiti e parti sociali a scuotersi dall'immobilismo. Servono "più coraggio, decisione e senso dello Stato". Il Governo faccia "scelte anche impopolari".

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23 giugno 2005
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Billè: "niente è perduto, ma bisogna fermare la marcia indietro del Paese"

 

"E' il momento di guardarsi bene negli occhi e di dirsi la verità. Smettiamola, con questo estenuante gioco del cerino. Per scuoterci ci serve una robusta dose di neorealismo alla De Sica. Solo così potremo trovare la forza necessaria per far cambiare rotta ad un Paese che ha innestato una pericolosa marcia indietro". Con queste parole il presidente di Confcommercio, Sergio Billè, ha aperto la sua relazione alla XVIII Assemblea Generale della Confederazione. "Tutti abbiamo una gran voglia di ripartire – ha proseguito Billè - ma non basta volerlo. Bisogna anche creare le condizioni perché ciò possa accadere". Nonostante ci sia "chi sostiene che oggi siamo più ricchi che poveri, dietro questa facciata di floridezza, in parte vera, vive però un Paese schiacciato da vecchi e da nuovi problemi", dove "tutto viene continuamente messo in discussione, ma troppo poco si riesce a cambiare". E' un immobilismo che ha "molti padri e padrini", comprese le parti sociali. E' per questo che "istituzioni, partiti e parti sociali non possono più restare adagiati sui loro sofà, mentre il Paese corre il pericolo di essere sfrattato dall'economia mondiale".

"Nel Governo e nei partiti che ne compongono la coalizione – ha proseguito Billè - c'è chi sostiene che il peggio sia quasi alle nostre spalle e che basterà qualche correttivo di rotta per uscire dal tunnel. Anche un anno fa ci era stata detta la stessa cosa. Poi i fatti hanno dimostrato il contrario". Il quadro, insomma, è "tortuoso, impervio, quasi spettrale". Rivolgendosi direttamente al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il presidente di Confcommercio ha quindi detto – riferendosi all'impegno del Governo a cambiare questo stato di cose – che "per noi è difficile rimettere la mano sul fuoco, dopo che, come Muzio Scevola, ce ne siamo già bruciata una. Ora, signor presidente, ci metta prima la sua. Poi, se tutto andrà per il meglio, come sinceramente ci auguriamo, non indugeremo a metterci quella che ci è rimasta". Ma ce n'è anche per l'opposizione, che "non si comprende ancora bene cosa vorrebbe cambiare, in quale direzione e con quali riforme".

Il cambiamento, per Billè, deve passare per "scelte che siano anche durissime, anche impopolari, anche tali da provocare più di un serio mal di pancia, ma che possano segnare una reale inversione di rotta. Si possono anche chiedere sacrifici, ma è necessario che essi siano fortemente motivati, in maniera da dare al Paese una reale prospettiva di sviluppo".

Bisogna mettere mano a tante, attese riforme: da quella che dovrebbe fare degli ammortizzatori sociali uno strumento efficace per il reinserimento occupazionale ad una contrattazione che colleghi, in maniera più diretta ed efficace, l'andamento dei salari con quello della produttività. Così come è ormai improcrastinabile il decollo della previdenza integrativa fondato sulla centralità del ruolo dei fondi contrattuali e sullo smobilizzo del Tfr.

Il Paese, insomma, deve fare i conti "con una ‘matrioska' di problemi che, l'uno dentro l'altro, minacciano di togliere al sistema quote crescenti di competitività", come la mancata riforma delle istituzioni, a riguardo della quale "abbiamo messo insieme una Treccani di tentativi che o sono abortiti o rischiano di abortire". O l'arretratezza della pubblica amministrazione "rimasta, in buona parte, improduttiva e appesantita da antiche rendite di posizione, che si sono talora addirittura aggravate", con un costo medio del lavoro per unità produttiva superiore del 63% nel settore pubblico a quello del privato. O ancora "i ceppi di un'inconcludente burocrazia" che dopo il varo del decreto per la competitività si spera possano sciogliersi determinando "una nuova cultura del servizio pubblico e, soprattutto, concorrere a realizzare rapporti più collaborativi tra la pubblica amministrazione, i cittadini e le imprese".

Ma non finisce qua. Billè ha sottolineato anche i ritardi ormai cronici della macchina della giustizia ("fino a quando i tribunali, per palese mancanza di strutture e di cancellieri, saranno sepolti da montagne di pratiche, servirà a poco modificare ruoli, funzioni e poteri dei magistrati") e i problemi della riforma federalista, che "si regge ancora su una gamba sola" mancando i 70 miliardi di euro necessari per realizzarla. "Si metta in cantiere un vero schema di federalismo fiscale; si decida, prima di tutto, quale dovrà essere la diversa ripartizione tra Stato, Regioni ed Enti locali delle poche risorse pubbliche di cui il paese dispone, e poi si faccia tutto il resto". Il rischio, a questo proposito, è che "si scateni la bagarre di un ‘fai da te' tributario, che vada fuori da ogni controllo e sia tutto a carico del mercato" producendo "una nuova cascata di oneri e di tasse per famiglie e imprese, soprattutto nelle aree territoriali che si trovano oggi, per reddito e produttività, in condizioni più sfavorevoli". E, comunque, "è indispensabile che, nella legge di riforma costituzionale, sia riaffermato il principio che, nelle materie di esclusiva o concorrente competenza regionale, debba essere sempre salvaguardato anche l'interesse nazionale".

Per quanto riguarda la criminalità, il presidente di Confcommercio ha denunciato come oggi stia diventando sempre più "parte quasi organica del tessuto economico e sociale". Per combatterla, "lo Stato deve utilizzare strategie, strumenti e professionalità assai diversi dal passato".

Infine, le tasse. Un tema a proposito del quale Billè ha ribadito che "i criteri per una necessaria riduzione della pressione fiscale, equa e virtuosa, sono a tutti noti". Ovvero,

"deve essere coperta da riduzioni della spesa pubblica corrente, perché è improponibile tanto il suo finanziamento in deficit, quanto la sua copertura attraverso spostamenti di quote del prelievo dall'una all'altra tipologia d'imposta; deve interessare tanto i redditi delle famiglie, quanto il prelievo a carico delle imprese, producendo effetti apprezzabili per tutte le imprese: per quelle esportatrici come per quelle che operano sul mercato interno, per le grandi come per le piccole".

Nonostante tutto, ha concluso Billè, "non siamo ancora morti e chi lo pensasse prenderebbe un abbaglio. Niente è perduto, se le istituzioni e i partiti sapranno fare fino in fondo il loro dovere. Niente è perduto, se imprese e sindacati, mettendo da parte egoismi corporativi, scenderanno in campo con più coraggio, con più decisione e con maggiore senso dello Stato. Cominciamo a coltivare e a far meglio fruttare le ricche e in gran parte ancora potenziali risorse di cui l'Italia dispone e la ciotola della nostra economia tornerà a riempirsi di tutto quel che ci serve non solo per sopravvivere oggi ma anche per programmare meglio il nostro futuro".

 

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