Fipe: nella ristorazione è crisi pesante

Fipe: nella ristorazione è crisi pesante

Nel 2009 oltre 22mila imprese hanno chiuso i battenti e sono stati persi oltre 16mila posti di lavoro. Il taglio dei consumi alimentari fuori casa è stato pari a 1,4 miliardi, pari al 2,5 per cento.

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16 aprile 2010
Gli italiani tagliano i consumi per 1,4 miliardi di euro nella ristorazione e il settore perde 16mila occupati

Gli italiani tagliano i consumi per 1,4 miliardi di euro nella ristorazione e il settore perde 16mila occupati. La caduta dei consumi alimentari fuori casa è stata peggiore del previsto (-2,5 punti percentuali), una perdita che equivale al fatturato aggregato di più di 8mila imprese. Ma quelle che hanno realmente cessato l’attività sono state, nel 2009, oltre 22mila, con un saldo negativo di  circa 2.000 unità. Un dato 'storico' per i pubblici esercizi in Italia. Lo spiega la Fipe, che sottolinea come l’impressionante turnover imprenditoriale sia l’evidenza più forte della fragilità del settore a cui si deve aggiungere il massiccio ingresso di imprenditoria extra-comunitaria (nelle grandi aree urbane quasi una nuova impresa su due ha un titolare straniero) che rischia di cambiare profondamente le caratteristiche del modello italiano di offerta sia in termini di prodotto o servizio, che di qualità.

In termini occupazionali il settore ha perso 16.200 posti di lavoro più di quanti ne abbia persi l’industria dei trasporti o quella tessile. La perdita dell’occupazione si concentra quasi totalmente tra i lavoratori indipendenti (-13.500 unità), mentre la flessione del lavoro dipendente è stata contenuta in circa 2.700 unità. Il 2009 interrompe un trend positivo di incrementi occupazionali che durava dal 1999.

L’esaurimento della capacità della ristorazione, ma più in generale dell’intero terziario di mercato, di creare nuovi posti di lavoro, magari anche assorbendo lavoratori espulsi da altri settori di attività, costituisce una seria ipoteca sulle prospettive di tenuta e crescita dei livelli occupazionali del Paese. Il valore aggiunto del settore è infatti diminuito dell’1,2% pari ad una perdita di 340 milioni di euro. Continua inoltre la serie negativa della produttività, con una flessione di mezzo punto percentuale. Sono questi i “veri conti della crisi dei consumi”, dice la Fipe.

I settori più colpiti sono arredamento, alimentare e abbigliamento. Perdite pesanti anche nelle spese per attività ricreative e culturali (-1,7 miliardi di euro), e per alberghi e pubblici esercizi (- 2 miliardi di euro). Se il livello generale dei consumi è tornato indietro di 4-5 anni, arretramenti più consistenti si sono avuti per alcune funzioni di spesa. Nei consumi alimentari l’Italia è tornata ai livelli di dieci anni fa, mentre su

abbigliamento/calzature e arredamento il salto all’indietro è addirittura di 15 anni (1995). Una curiosità: la spesa per giornali e libri è tornata ai livelli del 1982.

Guadagnano terreno solo le cosiddette spese obbligate (abitazione e sanità) e quelle per i trasporti trainate dall’effetto incentivi. La crescita della spesa per l’istruzione va invece interpretata positivamente come misura della volontà delle famiglie di non rinunciare ad investire sul futuro dei propri figli.

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