Fondo salva-Stati: "braccio di ferro" Bruxelles-Berlino
Fondo salva-Stati: "braccio di ferro" Bruxelles-Berlino
Sul rafforzamento del Fondo salva-Stati è ancora braccio di ferro. Se tra i Paesi dell'Eurozona sembra al momento prevalere la linea della Germania, che non vuole sganciare la questione da una severa stretta su deficit e debiti pubblici (il varo è previsto entro giugno), Bruxelles insiste: altro che nessuna fretta. Sul Fondo ''bisogna agire tempestivamente'', perché - ha ammonito il commissario Ue agli affari economici e monetari, Olli Rehn - ''la crisi dei debiti sovrani non è ancora finita''.
L'urgenza, secondo Rehn, è dettata dal rischio che i nuovi focolai (vedi Portogallo e Spagna) si trasformino in nuovi incendi. Per questo il rafforzamento della capacità effettiva del Fondo (oggi dotato di garanzie per 440 miliardi) e l'ampliamento del suo campo d'azione (magari con la possibilità di acquistare titoli pubblici dei Paesi in difficoltà) ''prima si fanno e meglio è''. Il presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso, nei giorni scorsi aveva invitato gli Stati
membri a prendere una decisione per il Consiglio europeo del 4 febbraio. E di fronte alle dure critiche della Germania (''quelle di Barroso sono dichiarazioni isolate e non concertate che complicano la situazione'', aveva detto il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schauble) il presidente dell'esecutivo europeo ha replicato con decisione: ''non ho bisogno del premesso degli Stati membri per dire la mia''. Schauble, però, anche ieri a margine della riunione dell'Ecofin è stato chiaro: ''quello che serve veramente è un maggior coordinamento politico ed economico''. Parigi è con Berlino, così come Svezia, Belgio ed altri Paesi: ''dobbiamo lavorare a una risposta globale alla crisi e a un pacchetto completo di misure che non dovranno riguardare solo il Fondo'',
ha affermato il ministro delle finanze francese, Christine Lagarde. Anche l'Italia ha sottolineato la necessità di un ''approccio coordinato''.