Galimberti: "creare un circolo virtuoso tra scuola e lavoro"

Galimberti: "creare un circolo virtuoso tra scuola e lavoro"

Il presidente dei Giovani Imprenditori è intervenuto nell'ultimo giorno del workshop di Venezia. "Il sasso che abbiamo lanciato nello stagno sembra aver mosso le acque ed il dibattito che si è svolto in questi giorni è stato ricco di spunti".

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20 settembre 2008
Galimberti: “creare un circolo virtuoso tra scuola e lavoro”

Galimberti: “creare un circolo virtuoso tra scuola e lavoro”

 

Il presidente dei Giovani imprenditori, Paolo Galimberti, è intervenuto nell’ultimo giorno del workshop di Venezia.

“Il sasso che abbiamo lanciato nello stagno con questo workshop dedicato all’emergenza educativa sembra aver mosso le acque ed il dibattito che si è svolto in questi giorni è stato ricco di spunti e di approfondimenti. Fra i tanti elementi emersi credo che uno sia lo snodo sul quale soffermarci e che deve essere posto all’attenzione delle Istituzioni: la riforma del sistema scolastico/professionale deve ridurre, fino ad eliminarlo, quel divario, ancora troppo marcato, fra la formazione acquisita dai giovani attraverso l’iter scolastico e la loro futura collocazione nel mondo del lavoro.

Un mondo del lavoro e delle imprese in continua e vertiginosa evoluzione, che richiede professionalità e competenze duttili e versatili, capacità di adattamento ai cambiamenti, una cultura di base a 360 gradi e una mentalità aperta all’innovazione.

Insomma, una forma mentis che consenta alle nuove generazioni di poter trovare adeguato riconoscimento nella società migliorando anche il proprio livello di partenza.

E questo non è soltanto un obiettivo ambizioso di una società che vuole crescere di più e meglio, ma è un impegno morale di cui tutti dobbiamo farci carico.

Il Ministro Meloni sa che il mondo giovanile soffre di uno smarrimento sia in termini di valori che di prospettive. E’ per questo motivo necessario riscoprire i principi etici sui quali la società deve essere fondata.

L’istruzione è dunque il primo tassello da correggere per togliere quell’impostazione autoreferenziale che ancora è presente nella scuola. Stante le attuali esigenze della società, si deve dare avvio a un nuovo progetto che faccia nascere al più presto una nuova classe dirigente di cui il paese ha assoluta necessità.

Bisogna, quindi, investire nella scuola e nell’università, in una logica di sistema che veda nelle conoscenze  che in esse si acquisiscono, non il fine, ma il mezzo per poter poi partecipare attivamente alla vita sociale ed economica.

Badate bene, quando parlo di investire in scuola e università non voglio entrare nel merito del “quanto” debba essere destinato a queste voci nel bilancio dello Stato, né imbarcarmi nella polemica sugli stipendi degli insegnanti.

Certo delle scelte vanno fatte, per far quadrare i conti, ed è certo che anche in questo settore esistono margini per una riduzione e riqualificazione significativa delle risorse.

Perché destinare il 97% del bilancio solo agli stipendi, forse, non è né prioritario né sostenibile. E penso, per esempio, alla qualità delle strutture scolastiche che in alcuni casi non sono né mantenute né modernizzate.

Investiamo quindi in idee, ripensiamo la scuola e l’università come un laboratorio di un nuovo capitale umano. Diamo alle nuove generazioni, grazie alle loro conoscenze, la possibilità di offrire alla società il proprio contributo sottoforma di talento e di capitale umano.

Ossia un bagaglio di competenze che non diventi già obsoleto ancora prima di confrontarsi con la vita reale e con il mercato, perché altrimenti continueremo a sfornare generazioni di scontenti che non riusciranno a realizzarsi e non contribuiranno a rendere questo paese più moderno, più produttivo e più ricco.

D’altronde è quello che ci viene richiesto dalle Strategie di Lisbona, che hanno come obiettivo quello di far divenire l’Europa “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”.

I ritardi dell’Italia rispetto agli obiettivi del 2010, come è stato evidenziato fino ad ora nel corso del workshop, non sono pochi, ma dobbiamo e possiamo recuperare.

Si cominci ad essere concreti; si trasformino in iniziative quei progetti quegli obiettivi specifici che sono stati messi nero su bianco nel Quadro Strategico Nazionale 2007–2013 che individua come prima priorità proprio il “miglioramento e la valorizzazione delle risorse umane”.

E’ importante affrontare questo tema in modo articolato, fornendo indicazioni e obiettivi specifici che coprono l’intero spettro delle problematiche: dall’innalzamento dei livelli di apprendimento, al contrasto dell’abbandono scolastico, ai rapporti con il territorio fino ad indicare, come quarto obiettivo – cito testualmente - “migliorare le capacità di adattamento, innovazione e competitività delle persone e degli attori economici del sistema”.

Ecco questo deve essere l’obiettivo da perseguire, ed è su questo che chiediamo risposte alle istituzioni.

Solo raggiungendo la piena consapevolezza che i giovani studenti diventeranno persone e “attori economici” qualunque sia la loro professione, imprenditori o lavoratori subordinati, si potrà ritarare un sistema educativo coerente con le aspettative del mercato del lavoro e del mondo dell’impresa.

I risultati delle ricerche d’altronde parlano chiaro: c’è una correlazione fra quantità e qualità di istruzione da una parte e incremento del Pil dall’altra, e questo perché solo innalzando il livello di istruzione si possono incrementare le professionalità necessarie ad aumentare la produttività e di conseguenza favorire la crescita economica.

*

Lo scollamento fra istruzione e lavoro è d’altronde purtroppo certificato.

Dall’ultimo rapporto del progetto “Excelsior” emerge che i dati del sistema informativo per l’occupazione e la formazione ci riguardano da vicino: i settori che rappresentiamo, il commercio, il turismo e i servizi, pur risentendo dei problemi di mercato, anche per il 2008 realizzeranno un incremento occupazionale pari all’1,3%, grazie anche alle piccole imprese.

 

E la ricerca sarà orientata sempre più a figure “high skill”, figure che in particolare per la distribuzione e il turismo sono difficilmente reperibili per l’insufficiente presenza di candidati con preparazione adeguata.

Nonostante ciò, l’università soffre di un’impostazione legata a modelli industriali ormai sorpassati tanto da sfornare giovani laureati impreparati ad inserirsi in quel mondo del lavoro di cui il terziario è l’attore principale.

Per tamponare questa situazione le soluzioni sono, attualmente, solo due: favorire l’ingresso in azienda di persone con esperienza o dedicare tempo e risorse aziendali alla formazione per colmare quel deficit educativo.

Sono queste le considerazioni da cui partire quando si affrontano le ipotesi di riforma della scuola, perché altrimenti ogni altra valutazione rischia di diventare un mero esercizio accademico che non dà risposte in linea con i cambiamenti della società e dell’economia.

Anche il Quadro Strategico Nazionale sottolinea che “i temi legati all’adattabilità, all’imprenditorialità e alla promozione di sinergie tra alta formazione, innovazione, ricerca ed impresa hanno dato risultati discontinui e necessitano di un ulteriore sviluppo”. Occorre anche favorire un contesto nel quale le imprese siano “soggetti attivi” nella progettazione e nella realizzazione di attività formative coerenti con le proprie esigenze.

Il target piccolo imprenditore dovrebbe costituire inoltre una priorità per le iniziative di formazione, da costruire con attenzione sui contenuti.

Chi vi parla è portavoce di una categoria troppo a lungo trascurata, di quei giovani che oltre a mettersi in gioco in una attività imprenditoriale sono anche disposti a portare il proprio bagaglio di esperienze e competenze a disposizione delle istituzioni.

Mi riferisco a 250.000 persone, donne e uomini, che hanno raccolto le redini dell’attività di famiglia proseguendo nell’opera dei loro genitori oppure che hanno fondato una nuova impresa; scelta questa operata da circa il 40% degli associati del Gruppo Giovani Imprenditori di Confcommercio.

Auspico che un domani, spero non troppo lontano, il “fare impresa” non sia più un percorso ad ostacoli da affrontare senza nessuna preparazione, ma possa essere una scelta serena e consapevole, meditata e coltivata durante gli anni della formazione, una scelta accompagnata ed assistita.

Auspico che le nostre imprese che già operano sul mercato, possano trovare quelle professionalità necessarie a aumentare le loro performance.

Solo se si realizzerà un circolo virtuoso fra scuola e lavoro si potrà uscire da quella “emergenza educativa” di cui siamo “costretti” a parlare oggi, e che vorremmo diventasse un retaggio solo del passato.

Solo così l’Italia potrà tornare ad essere competitiva”.

 

 

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