Relazione del presidente all'Assemblea 2024

Relazione del presidente all'Assemblea 2024

Signor Presidente della Repubblica, Signor Presidente del Senato, Signor Presidente della Camera, Signori Ministri e Signori Rappresentanti del Governo, Onorevoli Parlamentari, Autorità, Gentili Ospiti, care amiche e cari amici della Confcommercio, buongiorno e benvenuti.

Innanzitutto, il nostro grazie più sentito al Presidente Sergio Mattarella: la sua presenza è per noi davvero un grande onore.

Caro Presidente, riprendo quanto ha detto lo scorso 6 maggio, in occasione della visita alle Nazioni Unite: “(…) la prospettiva verso la quale ci muoviamo è quella di rendere le nostre società più coese e giuste, allargando gli spazi civici e politici di partecipazione a tutte le componenti della società (…)”. Così il Presidente Mattarella.

Una riflessione a tutto tondo, che richiama anche ruolo e funzione dei corpi intermedi.

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Lo ha ricordato anche il filmato: in sostanza, l’articolo 1 della nostra Carta individua nel lavoro il punto di partenza e di arrivo del circuito democratico, che consente di valorizzare appieno la cittadinanza e la persona.

E la nostra Costituzione protegge la libertà di iniziativa economica, purché non contrasti con l’utilità sociale o con la libertà, la sicurezza, la dignità umana.

L’impresa è, appunto, parte della libertà di iniziativa economica.

Le nostre imprese del terziario di mercato, ogni giorno, creano buona occupazione, coltivano conoscenza, abilitano innovazione, immaginano il futuro collettivo.

Futuro collettivo dentro la nostra Carta. Come ha ricordato il Presidente Mattarella: “I costituenti hanno redatto la nostra Carta per i giovani, per le generazioni future”.

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E il nostro futuro collettivo appare incerto, segnato da contraddizioni profonde, da crisi drammatiche.

Ne siamo coinvolti: come comunità nazionale e dentro l’orizzonte istituzionale, politico ed economico dell’Europa.

Non può non preoccupare allora l’astensionismo delle ultime elezioni. Ci preoccupa anche come corpo intermedio, che fa della partecipazione la propria ragione d’essere.

Si è appena rinnovato il nuovo Parlamento Europeo: a tutti gli europarlamentari rivolgiamo i nostri auguri di buon lavoro.

L’Unione Europea ha, in questa complicata dimensione geopolitica, la responsabilità di promuovere la pace, rafforzando – al tempo stesso – una comune politica di difesa.

E l’Unione Europea ha, ancora, la responsabilità di consolidare, nel contesto del mercato unico, un “ecosistema” che sia a misura di impresa, a partire dalle piccole e medie: è necessario farlo per la produttività, la crescita e l’occupazione.

Ricordo solo qualche dato: tra il 2012 ed il 2023, su circa 17 milioni di nuovi posti di lavoro nell’Europa a 27, oltre l’80 per cento dipende dalle imprese dei nostri settori.

Nel nostro Paese, poi, il terziario di mercato ha creato, tra il 1995 ed il 2023, circa tre milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro.

Pochi numeri, per ribadire la centralità delle nostre imprese nel creare nuova occupazione e crescita diffusa.

Permettetemi di ringraziare queste imprese. Grazie per quello che avete fatto, che fate e che continuerete a fare.

Certo, c’è l’esigenza di tener presente quanto incidano i fattori di contesto: dalla tutela della legalità e dal contrasto della criminalità ad una pubblica amministrazione più efficiente ed innovativa.

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Nonostante tutto, continuiamo a creare lavoro e ad essere un grande “spazio” del “fare impresa”.

Per tutti e, in particolare, per i giovani e per le donne.

Va detto, però, che l’imprenditoria giovanile ha registrato negli ultimi dieci anni una riduzione di circa 160.000 imprese.

Senza questa battuta d’arresto, influenzata dall’invecchiamento della popolazione e dalle difficoltà del ricambio generazionale, il PIL sarebbe stato ben superiore.

Perché sono i giovani che, in gran parte, sospingono innovazione e produttività.

Una riflessione analoga vale per la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Si sono compiuti progressi importanti, ma la distanza che ci separa dalla media europea è ancora di 12 punti percentuali, con scarti di quasi 25 punti nel Mezzogiorno.

Raggiungere la media europea significherebbe oltre 2 milioni e mezzo di donne occupate in più.

L’Italia è fondata sul lavoro, che è strumento decisivo di inclusione dei cittadini di oggi, di quelli di domani e di coloro che, oggi, non sono ancora cittadini.

E, nei soli settori del commercio, degli alberghi, dei pubblici esercizi, la quota di lavoratori stranieri regolari è pari ad oltre il 10 per cento.

È un tema nazionale e al tempo stesso europeo: serve, infatti, un comune impegno per un “Piano Mattei” di vera e nuova cooperazione economica con gli Stati africani.

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Produttività, occupazione, crescita: è un circuito che abbiamo tenuto ben presente anche nel rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale del Terziario.

È un buon contratto: è il risultato dell’impegno comune delle parti sociali e risponde tanto alle attese del mondo del lavoro, quanto alle esigenze delle imprese.

È un buon contratto: perché interpreta le trasformazioni profonde del nostro tempo.

È un buon contratto: perché è espressione concreta di responsabilità, e viene applicato, nel 2023, da oltre il 93 per cento delle aziende italiane del terziario.

Un buon contratto, all’insegna della responsabilità, è anche quello siglato, la scorsa settimana, dalla nostra FIPE, la Federazione Italiana dei Pubblici Esercizi.

Di responsabilità, di responsabilità comune, c’è poi bisogno per contrastare una volta per tutte – anche con interventi normativi – il dumping contrattuale, i contratti pirata.

La responsabilità comune, dunque, nel rafforzare il ruolo della contrattazione esercitata da chi realmente rappresenta il mondo del lavoro e il mondo delle imprese.

Di questa contrattazione, va affermata la valenza erga omnes: è la risposta più efficace alla questione del salario minimo.

Occorre, inoltre, proseguire nella riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro.

Bisogna farlo con misure strutturali, confermando, intanto, per il 2025, i tagli fin qui operati, nonché i connessi interventi sul fronte IRPEF.

Va, poi, valorizzata la sinergia tra welfare pubblico e welfare contrattuale e aziendale, così da rendere più sostenibile ed inclusivo il nostro sistema di sicurezza sociale.

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La carenza di personale e di competenze è in aumento, in Italia e in Europa.

Stimiamo che per le imprese del commercio, del turismo e della cultura, avremo grandi difficoltà a trovare oltre 170mila nuovi lavoratori per l’anno in corso.

La cura costante delle competenze è decisiva.

E lo sosteniamo con l’esperienza di chi fa, giorno per giorno, formazione professionale.

Insomma, abbiamo bisogno di più formazione e di più lavoro, anche con la programmazione di adeguati flussi di immigrati.

Di più lavoro e di un lavoro “sicuro”: la sicurezza sul lavoro è un requisito essenziale per la dignità umana, quindi mai negoziabile.

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L’Italia attraversa le incertezze, le paure, di questo 2024, dove permangono gli elementi di criticità di lungo termine, a partire da una produttività che ristagna da almeno trent’anni.

Inoltre, le condizioni della finanza pubblica costituiscono un ulteriore elemento di fragilità, che agisce come freno agli investimenti e quindi alla crescita complessiva.

In tale contesto, le azioni per contenere e ridurre il rapporto debito/PIL vanno tempestivamente programmate ed attuate.

Malgrado tutto questo, il nostro Paese ha recuperato, in termini economici, ciò che sembrava impossibile, cioè i 9 punti di prodotto lordo persi nel solo 2020.

E siamo andati oltre.

Oltre di quattro punti e mezzo rispetto ai livelli pre-pandemici.

È stato grazie al contributo di tutti.

Dalle istituzioni europee ai governi nazionali, dagli imprenditori ai lavoratori: nessuno si è arreso.

Nessuno si è tirato indietro.

Abbiamo fatto molto, dunque. Molto e meglio dei nostri principali partner europei.

Penso all’inflazione, che dalla doppia cifra degli ultimi mesi del 2022, è oggi sotto l’1% in Italia, mentre resta attorno al 2% in Europa.

Una settimana fa, la BCE ha tagliato i tassi di un quarto di punto: lo richiedevamo da tempo. Occorrerà fare rapidamente di più.

Il nostro Paese, ormai da più di 3 anni, supera tutte le previsioni economiche, anche le più rosee: è l’eccezionalità italiana. L’eccezionalità italiana.

La spiegazione richiama il ruolo strategico, e troppo spesso sottostimato, del nostro terziario di mercato, in particolare della filiera del turismo, nella sua più ampia accezione.

Quel turismo che sta registrando performance straordinarie: è, infatti, di oltre 26 miliardi di euro il saldo netto della bilancia turistica per lo scorso anno. Quest’anno, faremo ancora meglio.

Abbiamo infatti anche l’opportunità di lavorare sul tema delle radici italiane nel mondo, per rimettere in gioco le tante aree interne del nostro Paese e per valorizzare il nostro concetto di Sense of Italy.

Un concetto che va oltre quello del Made in Italy e che tiene insieme turismo, esportazioni di beni, promozione del nostro patrimonio culturale e creativo.

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Turismo, ricettività e cultura dicono molto della centralità delle nostre città e dei nostri territori.

Nei quali, però, il ruolo economico e sociale del commercio, dei servizi di prossimità, sempre più si scontra col preoccupante fenomeno delle chiusure delle attività nelle città, dai centri storici alle periferie.

Bisogna essere chiari però su un punto.

Una cosa è il pluralismo distributivo, di cui la Confcommercio è da sempre la casa comune.

Questo pluralismo mette insieme piccole, medie e grandi imprese. È un valore: perché arricchisce la qualità dell’offerta, agisce a favore della concorrenza, produce e diffonde innovazione.

Ben altra cosa, invece, è una riduzione del numero di negozi, che, negli ultimi undici anni, ha addirittura superato in alcuni territori, il 25 per cento.

Insomma, il rischio di desertificazione commerciale è alla fine una ferita per l’idea di cittadinanza.

Care amiche e cari amici della Confcommercio, noi conosciamo bene il valore che hanno le attività di vicinato, per la qualità della vita e per la sicurezza di città e territori: e per voi, per noi, per i consumatori e per i cittadini, ci batteremo fino all’ultimo!

Reagire è necessario e possibile.

Va livellato il campo di gioco: stesso mercato, stesse regole, amministrative o fiscali che siano.

E va dato impulso all’innovazione “sartoriale”, fatta su misura delle imprese.

Per questo servono politiche pubbliche che riconoscano appieno la funzione economica, sociale e di innovazione dei servizi di prossimità, nel contesto di un’agenda urbana italiana orientata allo sviluppo sostenibile.

Quanto al ruolo strategico delle infrastrutture, dei trasporti e della logistica lo sperimentiamo tutti i giorni tanto nel rapporto tra accessibilità e sviluppo economico territoriale, quanto per le reti globali di collegamento e traffico commerciale.

E non vi è, non vi è, crescita del mercato unico senza sviluppo delle reti infrastrutturali europee.

Di queste reti, va assicurata la proiezione euromediterranea, alla quale molto potrà contribuire la filiera marittimo-portuale italiana.

Lo sappiamo bene: il futuro è nella doppia transizione verde e digitale.

Quanto al Green Deal, serve un approccio pragmatico.

Quello, cioè, che integra la sostenibilità ambientale con quella economica e sociale, che si basa sul principio di neutralità tecnologica, che investe – penso ad esempio al piano Transizione 5.0 – su strumenti finanziari a misura di territori, imprese, cittadini.

Lo ripeto, la sostenibilità o è assieme ambientale, economica e sociale o non è!

Anche per questo, è fondamentale investire in quella economia della conoscenza, che valorizza la ricerca e il capitale umano, a partire dal completamento del Piano d’azione europeo per l’istruzione digitale.

Investimenti in innovazione diffusa e sostenibile, dall’omnicanalità all’intelligenza artificiale, sono decisivi.

Tra gli asset abilitanti, c’è sicuramente l’accesso al credito, che è un passe-partout per affrontare il futuro.

Nella sostanza, il problema dell’accesso al credito resta irrisolto, per lo più, per le micro e piccole imprese, penalizzate dagli algoritmi di valutazione delle banche.

È necessaria, allora, una riforma complessiva all’insegna dell’innovazione, dai consorzi fidi al fondo di garanzia, fino alla stessa educazione finanziaria degli imprenditori, rafforzando la collaborazione con il sistema bancario.

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Riforme e innovazione anche per un “grande classico”: il fisco.

Un tema che da tempo meritava un ridisegno complessivo con la riduzione del carico impositivo, il contrasto di evasione ed elusione, la semplificazione degli adempimenti, la certezza del diritto.

Il percorso attuativo della riforma deve necessariamente “fare i conti” con il “sentiero stretto” della finanza pubblica e con la disciplina di un rinnovato Patto europeo di stabilità e crescita.

“Nessun pasto è gratis”: è, allora, necessario razionalizzare la struttura della spesa pubblica e, in particolare, riordinare le spese fiscali.

Anche sul tema del fisco, le strategie nazionali si intrecciano con quelle europee.

Penso alla “Global Minimum Tax”, per la quale occorre un deciso impegno europeo: resta determinante per raggiungere una giusta tassazione delle grandi multinazionali, delle grandi piattaforme digitali globali.

Guardate, voglio ripeterlo: stesso mercato, stesse regole.

Ancora Italia ed Europa.

Dopo l’esperienza di Next Generation EU, è tempo di valutare l’adozione di un bilancio comune europeo potenziato, con capacità di debito e adeguata capacità fiscale.

E, nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione, occorrerà una governance che faccia leva sull’espansione degli ambiti di decisione a maggioranza qualificata, in seno al Consiglio.

Sono scelte necessarie per un progetto europeo con maggiore autonomia strategica, maggiore competitività ma anche maggiore coesione.

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E la politica di Coesione richiama il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: resta un’occasione straordinaria per rafforzare il potenziale di crescita del Paese, con buone riforme e buoni investimenti.

Mettere a terra riforme, progetti, investimenti soprattutto per il Mezzogiorno e con il Mezzogiorno.

Care amiche e cari amici della Confcommercio, Alcide De Gasperi, proprio settant’anni fa, ricordava che.: “Solo se siamo uniti, siamo forti, se siamo forti siamo liberi di agire.”

Il punto è proprio quello delle parole di De Gasperi.

Mi piace interpretarle così: non basta, care amiche e cari amici della Confcommercio, essere bravi da soli, ma occorre esserlo con gli altri.

Questo, mi permetto di dirlo, dovrebbe valere anche nella politica, nelle istituzioni.

Certamente, vale per noi: nei rapporti associativi, nei contratti, nella formazione, nelle scelte che riguardano le città e i territori.

Vale per chi resiste e per chi spera; per chi ha ereditato un’attività storica e per chi si è inventato una professione; per chi fa il proprio dovere e per chi in un modo o nell’altro va anche sempre oltre il proprio dovere.

Vale per chi nonostante tutto ha la forza di vivere il presente e immaginare il futuro.

Vale per le nostre imprenditrici e per i nostri imprenditori.

Per tutti loro. Confcommercio c’è.

C’è, ogni giorno, in Italia e in Europa.

C’è nella responsabilità di essere accanto a chi fa impresa e a chi lavora nell’impresa.

C’è nell’impegno e nella passione.

C’è nell’autonomia e nella solidarietà.

Confcommercio c’è nel coraggio e nella speranza.

#ConfcommercioCè

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