L'INTERVENTO DEL PRESIDENTE SANGALLI

L'INTERVENTO DEL PRESIDENTE SANGALLI

DateFormat

26 novembre 2007
L’intervento del presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli

L’intervento del presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli

 

Desidero innanzitutto ringraziare la Confcommercio di Savona e il suo presidente, l’amico Vincenzo Bertino, per avermi dato l’occasione di partecipare a questo momento così importante per voi.

Consentitemi di confidarvi, da vecchio “frequentatore�, se così posso dire, di questa confederazione, che simili occasioni non smettono di riempirmi di orgoglio e di speranza. Speranza perché l’inaugurazione di una nuova sede è un po’ come la nascita di un neonato: dà la plastica visione del senso della continuità e anche, diciamocelo, della forza di questa grande famiglia che è la Confcommercio.

Ma, allo stesso tempo, simili occasioni sono motivo di orgoglio perché confermano una volta di più il grande radicamento che possiamo vantare sul territorio.

E orgoglio anche perché questa capillarità non è certo figlia del caso, ma della nostra politica, del nostro impegno e del nostro lavoro. Noi veniamo da lontano, come dimostra il ruolo che da decenni svolgiamo nel commercio italiano. Ma ci prepariamo anche ad andare lontano, se è vero com’è vero che siamo la forza che meglio può rappresentare le istanze di quel vero e proprio ponte sul futuro che è il terziario complessivamente inteso, di fatto l’asse portante delle economie postindustriali nei paesi più sviluppati.

Adombrando questo scenario, mi rendo conto che a voi non vengo a dire niente di nuovo, visto la marcata presenza a Savona di attività produttive legate a questo comparto. Anzi, quando in una provincia come la vostra quasi l’80% del valore aggiunto dell’economia proviene dal settore dei servizi, quando commercio, alberghi e pubblici esercizi, trasporti e comunicazioni, attività immobiliari, di ricerca, di informatica, da soli ne coprono il 60%, quando più del 50% di imprese è riconducibili al terziario e un occupato su due opera nell’ambito dei servizi di mercato, beh,davanti a questi numeri parlare solo di “marcata� presenza forse è anche riduttivo.

Realtà, quella di Savona, che ben si inserisce nel più generale trend di crescita del terziario in Italia, dove quasi 3 milioni di imprese e due nuove imprese su tre operano nel comparto dei servizi. Focalizzando poi l’attenzione sul terziario che ci sta più a cuore, cioè quello al netto dei servizi pubblici, si vede che commercio, turismo, trasporti, logistica, servizi alle persone e alle imprese, da soli assicurano addirittura quasi la metà dell’occupazione e del Pil.

Un’autentica rivoluzione, una marcia inarrestabile, se pensiamo che i 10 miliardi di euro di valore prodotto dal terziario 40 anni fa sono diventati oggi 600 miliardi, cioè quasi il doppio di quanto metta insieme l’industria nel suo complesso.

Un settore dunque che sarebbe in gran salute, non ci fosse purtroppo a fare quasi da controaltare lo stato più generale dell’economia italiana. Un’economia, sembra che se ne siano accorti anche altri osservatori, nazionali e internazionali, che continua a crescere lentamente, troppo lentamente. C’è la concreta ipotesi che, seguitando così, chiuderemo l'anno con una performance inferiore al 2006 e, di conseguenza, l’incremento del Pil nel 2008 risulterà ancora più modesto.

Certo, è vero: non aiutano in questa situazione le tensioni sui prezzi provenienti dai mercati internazionali che, incidendo negativamente sui consumi, riducono ulteriormente il benessere delle famiglie italiane. E anche la loro capacità di spesa, come dimostrano i dati Istat diffusi qualche giorno fa sulle vendite al dettaglio di settembre, con quello -0,6% rispetto a settembre 2006 e lo -0,2% rispetto ad agosto 2007.

Ma allo stesso tempo bisogna anche dire che, per uscire da una condizione per molti versi critica, bisognerebbe perseguire una politica economica più incisiva. Più incisiva, intendo, di quella che vediamo concretizzarsi nella legge Finanziaria appena passata al vaglio del Senato.

Perché è inutile girarci intorno, il vero nodo che finanziaria e decisioni del governo non riescono a sciogliere rimane proprio questo: il rallentamento della crescita. Una crescita che dovrebbe fondarsi su un maggior tasso di partecipazione al mercato del lavoro e su sensibili incrementi di produttività delle attività economiche, oltre che sul miglioramento strutturale del quadro della finanza pubblica centrale e territoriale.

Principi sani, questi, di un’economia sana. Purtroppo, però, di tutto ciò nell’impianto della Finanziaria non si ritrova molto. Se è possibile infatti far fronte ai nuovi impegni di spesa, questo lo dobbiamo in larga parte al positivo andamento delle entrate tributarie, non certo alla tante volte annunciata e mai realizzata riduzione della spesa pubblica.

Le cifre parlano chiaro: alle spese previste dai provvedimenti varati dal Governo concorrono per il 62% le maggiori entrate tributarie. Mentre appena la metà del restante 38%, quello cioè relativo alle riduzioni di spesa, deriva da processi di riqualificazione della spesa pubblica.

Maggiori entrate tributarie che sono il frutto, è stato detto da più parti, anche di una più efficace lotta all’evasione. Di questo non solo ne siamo contenti. Ma chiediamo anche che non si abbassi la guardia, perché quella di contrastare l’evasione e l’elusione è un’azione sacrosanta e prioritaria per il Paese. Rimaniamo infatti convinti che quanti non pagano le tasse operino una forma di concorrenza sleale nei confronti di chi invece lo fa.

Contemporaneamente, però, bisogna anche ribadire che nella finanziaria si assiste ad una sorta di giallo, di mistero: il mistero del cadavere scomparso. Dove il cadavere è rappresentato dalla promessa riduzione della pressione fiscale complessiva, di cui non c’è più traccia. A questo proposito, sarebbe infatti interessante capire cosa s’intenda quando si parla di “tregua fiscale�. Appare quella preannunciata una ben strana tregua, se intanto la pressione complessiva è destinata a salire dal 42,8% del Pil segnalato dal Dpef al 43%, con un salto, rispetto al 40,6% del 2005, di 2,4 punti percentuali.

No, lo ribadiamo: non ci sembra che sia l’inasprimento del peso fiscale la direzione giusta. Al contrario, crediamo che solo alleggerendolo questo peso sarà possibile passare ad una tassazione più equa, che non strozzi l’imprenditore, che non arrivi mai a metterlo davanti alla drammatica decisione se fare interamente il suo dovere di cittadino o fallire.

Crediamo insomma giunto il momento di rovesciarlo quel famoso slogan-principio: “pagare tutti per pagare meno�.

Di rovesciarlo in quel suo contrario che, solo, può consentire un fisco giusto: “pagare meno per permettere a tutti di pagare�.

 

Banner grande colonna destra interna

Aggregatore Risorse

ScriptAnalytics

Cerca