VERSO IL DPEF: PRESSIONE FISCALE E SPESA PUBBLICA
VERSO IL DPEF: PRESSIONE FISCALE E SPESA PUBBLICA
Verso il Dpef : pressione fiscale e spesa pubblica
E’ quanto, purtroppo, è successo lungo il percorso di preparazione, discussione e approvazione della legge finanziaria per il 2007.
Non ci si è confrontati con chi rappresenta il Paese reale, si è fatto leva sulle maggiori entrate e si sono rinviate le riforme strutturali necessarie per domare la spesa pubblica.
E’ andata così. Ma il conto che stiamo pagando è salatissimo. E non sarà pareggiato, per la più gran parte delle imprese che noi rappresentiamo, neppure dalla riduzione del cuneo fiscale e contributivo.
Questo è, del resto, il quadro complessivo della situazione: spesa pubblica al 50,5% del Pil ed entrate totali - fiscali e contributive - al 42,8% del Pil.
Se non si interrompe la spirale viziosa tra questi livelli di spesa e questi livelli di prelievo fiscale e contributivo, non si rimetteranno stabilmente in moto - nonostante qualche dato congiunturale incoraggiante - la domanda interna e i consumi delle famiglie, non si consoliderà la ripresa e non si riuscirà neppure a ridurre significativamente il livello del debito pubblico.
Se non si risolve questo “cortocircuito� e non si inizia a ridurre la pressione fiscale, è la stessa prospettiva di tenuta della lotta all’evasione e all’elusione ad essere posta in discussione.
Rischiamo molte, troppe chiusure di imprese per “overdose� tributaria e di burocrazia fiscale, e molti, troppi ripiegamenti nel sommerso e nel nero.
Dicevo, all’inizio, che non ci illudiamo e non vogliamo illudere nessuno. Pensiamo, dunque, che non ci siano scorciatoie facili e che non ci possano essere sconti politici.
Perché evasione ed elusione vanno contrastate con determinazione e 360 gradi. Senza la ricerca di facili capri espiatori, ma ovunque si annidino. Anche in casa nostra.
E non soltanto perché pagare le tasse è un dovere, ma anche perché chi non le paga altera la concorrenza con chi il proprio dovere lo fa. E soprattutto perché evasione ed elusione sono una pesantissima palla al piede per lo sviluppo e per l’equità .
Non chiediamo dunque - lo ripeto - scorciatoie o sconti. Ma equità e senso della misura, questo sì! Assolutamente sì!
Ma che equità c’è, che senso della misura c’è in una sanzione sproporzionata come quella della chiusura del negozio per la mancata emissione - contestata, ma non definitivamente accertata - di tre scontrini fiscali, a prescindere dal loro importo?Â
Lasciatemelo dire: è un errore politico da matita blu.
E che equità c’è, che senso della misura c’è in una pervasiva burocrazia fiscale che richiede sempre nuovi adempimenti e tanti, troppi dati ed informazioni che, poi, a poco servono o non vengono neppure controllati?
E, ancora, che equità c’è, che senso della misura c’è in astratti indicatori di normalità economica che mal si attagliano a tante differenziate storie d’impresa?
Nonostante dichiarazioni ed impegni, questi indicatori rischiano di fare degli studi di settore non un sistema di rilevazione dei ricavi sempre più equo e selettivo, ma uno strumento di catastizzazione del reddito o, per dirla ancora più chiaramente, una sorta di “Bancomat� per fare cassa!
Siamo franchi: gli indicatori sono nati male. Sono stati costruiti in fretta e furia e senza confronto con le categorie economiche per poterli applicare retroattivamente al periodo d’imposta 2006.Â
Sono stati costruiti - passatemi la metafora “commerciale� - all’ingrosso e non al dettaglio. E, giunti al momento della loro applicazione, si è visto che, in troppi casi, proprio non funzionano.
Non c’è, allora, da fare che una cosa: mandiamoli in soffitta questi indicatori!
Insomma, una vera giustizia fiscale non trae alcun giovamento dal sospetto costante che i contribuenti - ed alcuni più di altri - siano tutti potenziali evasori.
Sparando, per così dire, nel mucchio e facendo ricorso ad un uso ad orologeria della comunicazione, che ha - come unico e controproducente risultato - una sorta di gogna mediatica: l’apposizione del “marchio� di evasori ad intere categorie sociali, ad interi settori dell’economia.
Mentre, naturalmente, chi evade sistematicamente e chi pratica le tecniche raffinate dell’elusione continua, tutto sommato, ad aver vita comoda! Â
Una vera giustizia fiscale trarrebbe invece giovamento dalla semplicità , dalla certezza e dalla stabilità degli adempimenti; dal rispetto di elementari principi di civiltà giuridica in materia di non retroattività delle norme e di diritto ad una tassazione sulla base del reddito effettivo ed attuale e non potenziale e stimato.
Soprattutto, verrebbe rafforzata da un disegno politico che - secondo ragionevolezza e buon senso - tenesse insieme recupero di evasione ed elusione, controllo e riduzione della spesa pubblica, riduzione progressiva della pressione fiscale sulle persone e sulle imprese, a partire da quell’IRAP che penalizza particolarmente le imprese dei servizi a forte intensità di occupazione.
Non c’è davvero altro da aggiungere.
Se non chiedere - guardando un po’ più in dettaglio al versante della spesa pubblica - quando e come troveranno concreta traduzione operativa gli impegni in materia di incremento di produttività e di mobilità nel pubblico impiego, sanciti - per il momento - quasi a futura memoria rispetto a generosi stanziamenti per il rinnovo dei contratti.Â
Se non chiedere, ancora, cosa si attende per prendere atto del fatto che, in una società attiva e per una società attiva, più si allungano le aspettative di vita e più vanno alzati i requisiti anagrafici per il pensionamento. E che, dunque, non è un dramma lo “scalone� e non si può eludere il nodo della revisione dei coefficienti di trasformazione delle pensioni.
Se non chiedere, infine, se e come si riuscirà a tenere insieme, nel governo federale del sistema sanitario e della spesa sociale, controllo dei costi e qualità del servizio, cercando di rispondere anche a nuovi bisogni e, in particolare, alla sfida sociale della non autosufficienza.
Governare la spesa pubblica - cioè ridurre quella corrente e riqualificare quella sociale, cercando di liberare risorse per gli investimenti e di ridurre il debito - è un compito difficile. Ma è, oggi, una responsabilità verso il Paese a cui nessuno può sottrarsi: né lo Stato, né le Regioni, né gli Enti locali.
Questo principio di responsabilità deve essere il cardine di un efficace Patto di Stabilità Interno e del federalismo fiscale, nella consapevolezza che, ormai, la leva delle entrate non può essere ulteriormente manovrata all’insù e che, invece, è giunto il momento di manovrarla all’ingiù.
Ecco, questi sono i nostri messaggi - cioè i nostri interrogativi e le nostre proposte - in vista del prossimo Dpef e della prossima legge finanziaria.
Messaggi - ci sembra - tanto più importanti ora, vista cioè l’intenzione del Governo di destinare gran parte del “tesoretto� alla spesa sociale.
E speriamo che non facciano la fine di quei messaggi nella bottiglia, di cui non si è mai certi che vengano ricevuti!