VERSO IL DPEF: PRESSIONE FISCALE E SPESA PUBBLICA

VERSO IL DPEF: PRESSIONE FISCALE E SPESA PUBBLICA

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21 giugno 2007
Verso il Dpef : pressione fiscale e spesa pubblica

Verso il Dpef : pressione fiscale e spesa pubblica

 

E’ quanto, purtroppo, è successo lungo il percorso di preparazione, discussione e approvazione della legge finanziaria per il 2007.

Non ci si è confrontati con chi rappresenta il Paese reale, si è fatto leva sulle maggiori entrate e si sono rinviate le riforme strutturali necessarie per domare la spesa pubblica.

E’ andata così. Ma il conto che stiamo pagando è salatissimo. E non sarà pareggiato, per la più gran parte delle imprese che noi rappresentiamo, neppure dalla riduzione del cuneo fiscale e contributivo.

Questo è, del resto, il quadro complessivo della situazione: spesa pubblica al 50,5% del Pil ed entrate totali  - fiscali e contributive - al 42,8% del Pil.

Se non si interrompe  la spirale viziosa  tra questi livelli di spesa e questi livelli di prelievo fiscale e contributivo, non si rimetteranno stabilmente in moto - nonostante qualche dato congiunturale incoraggiante -  la domanda interna e i consumi delle famiglie, non si consoliderà la ripresa e non si riuscirà neppure a ridurre significativamente il livello del debito pubblico.

Se non si risolve questo “cortocircuito� e non si inizia a ridurre la pressione fiscale, è la stessa prospettiva di tenuta della lotta all’evasione e all’elusione ad essere posta in discussione.

Rischiamo molte, troppe  chiusure di imprese per “overdose� tributaria e di burocrazia fiscale, e molti, troppi ripiegamenti nel sommerso e nel nero.

Dicevo, all’inizio, che non ci illudiamo e non vogliamo illudere nessuno. Pensiamo, dunque, che non ci siano scorciatoie facili e che non ci possano essere  sconti politici.

Perché evasione ed elusione vanno contrastate con determinazione e 360 gradi. Senza la ricerca di facili capri espiatori, ma ovunque si annidino. Anche in casa nostra.

E non soltanto perché pagare le tasse è un dovere, ma anche perché chi non le paga altera la concorrenza con chi il proprio dovere lo fa. E soprattutto perché evasione ed elusione sono una pesantissima palla al piede per lo sviluppo e per l’equità.

Non chiediamo dunque -  lo ripeto  -  scorciatoie o sconti. Ma equità e senso della misura, questo sì!  Assolutamente sì!

Ma che equità c’è, che senso della misura c’è in una sanzione sproporzionata come quella della chiusura del negozio per la mancata emissione - contestata, ma non definitivamente accertata -  di tre scontrini fiscali, a prescindere dal loro importo? 

Lasciatemelo dire: è un errore politico da matita blu.

E che equità c’è, che senso della misura c’è in una pervasiva burocrazia fiscale che richiede sempre nuovi adempimenti e tanti, troppi dati ed informazioni che, poi, a poco servono o non vengono neppure controllati?

E, ancora, che equità c’è, che senso della misura c’è in astratti indicatori di normalità economica che mal si attagliano a tante differenziate storie d’impresa?

Nonostante dichiarazioni ed impegni, questi indicatori rischiano di fare degli studi di settore non un sistema di rilevazione dei ricavi sempre più equo e selettivo, ma uno strumento di catastizzazione del reddito o, per dirla ancora più chiaramente, una sorta di “Bancomat� per fare cassa!

Siamo franchi: gli indicatori sono nati male. Sono stati costruiti in fretta e furia e senza confronto con le categorie economiche per poterli applicare retroattivamente al periodo d’imposta 2006. 

Sono stati costruiti - passatemi la metafora “commerciale�  - all’ingrosso e non al dettaglio. E, giunti al momento della loro applicazione, si è visto che, in troppi casi, proprio non funzionano.

Non c’è, allora, da fare che una cosa: mandiamoli in soffitta questi indicatori!

Insomma, una vera giustizia fiscale  non trae alcun giovamento dal sospetto costante che i contribuenti -  ed alcuni più di altri  - siano tutti potenziali evasori.

Sparando, per così dire, nel mucchio e facendo ricorso ad un uso ad orologeria della comunicazione, che ha - come unico e controproducente risultato -  una sorta di gogna mediatica: l’apposizione del “marchio� di evasori ad intere categorie sociali, ad interi settori dell’economia.

Mentre, naturalmente, chi evade sistematicamente e chi pratica le tecniche raffinate dell’elusione continua, tutto sommato, ad aver vita comoda!  

Una vera giustizia fiscale trarrebbe invece giovamento dalla semplicità, dalla certezza e dalla stabilità degli adempimenti; dal rispetto di elementari principi di civiltà giuridica in materia di non retroattività delle norme e di diritto ad una tassazione sulla base del reddito effettivo ed attuale e non potenziale e stimato.

Soprattutto, verrebbe rafforzata da un disegno politico che  - secondo ragionevolezza e buon senso -  tenesse insieme recupero di evasione ed elusione, controllo e riduzione della spesa pubblica, riduzione progressiva della pressione fiscale sulle persone e sulle imprese, a partire da quell’IRAP che penalizza particolarmente le imprese dei servizi a forte intensità di occupazione.

Non c’è davvero altro da aggiungere.

Se non chiedere - guardando un po’ più in dettaglio al  versante della spesa pubblica -  quando e come troveranno concreta traduzione operativa gli impegni in materia di incremento di produttività e di mobilità nel pubblico impiego, sanciti  - per il momento -  quasi a futura memoria rispetto a generosi stanziamenti per il rinnovo dei contratti. 

Se non chiedere, ancora, cosa si attende per prendere atto del  fatto che, in una società attiva e per una società attiva, più si allungano le aspettative di vita e più vanno alzati i requisiti anagrafici per il pensionamento. E che, dunque, non è un dramma lo “scalone� e non si può eludere il nodo della revisione dei coefficienti di trasformazione delle pensioni.

Se non chiedere, infine, se e come si riuscirà a tenere insieme, nel governo federale del sistema sanitario e della spesa sociale, controllo dei costi e qualità del servizio, cercando di rispondere anche a nuovi bisogni e, in particolare, alla sfida sociale della non autosufficienza.

Governare la spesa pubblica -  cioè ridurre quella corrente e  riqualificare quella sociale, cercando di liberare risorse per gli investimenti e di ridurre il debito -  è un compito difficile. Ma è, oggi, una responsabilità verso il Paese a cui nessuno può sottrarsi: né lo Stato, né le Regioni, né gli Enti locali.

Questo principio di responsabilità deve essere il cardine di un efficace Patto di Stabilità Interno e del federalismo fiscale, nella consapevolezza che, ormai, la leva delle entrate non può essere ulteriormente manovrata all’insù e che, invece, è giunto il momento di manovrarla all’ingiù.

Ecco, questi sono i nostri messaggi - cioè i nostri interrogativi e le nostre proposte  - in vista del prossimo Dpef e della prossima legge finanziaria.

Messaggi  -  ci sembra -  tanto più importanti ora, vista cioè l’intenzione del Governo di destinare gran parte del “tesoretto� alla spesa sociale.

E speriamo che non facciano la fine di quei messaggi nella bottiglia,  di cui non si è mai certi che vengano  ricevuti!

 

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